Le Cure

Oltre la diagnosi: la Persona
Quando arriva una diagnosi di demenza, qualcosa cambia per sempre — non solo per chi la riceve, ma anche per chi gli vive accanto. Le parole del medico, pur dette con sensibilità, aprono un varco di incertezza, paura e disorientamento. La vita, improvvisamente, sembra ridisegnarsi attorno a una parola che pesa come un macigno: demenza.
Eppure, quella diagnosi non deve diventare un confine. Non segna la fine di una persona, ma l’inizio di un nuovo modo di accompagnarla, di guardarla, di ascoltarla. Dietro ogni diagnosi c’è quella Persona che continua a vivere, ad avere desideri, emozioni, relazioni, e che chiede di essere riconosciuta nella sua interezza, non ridotta alla sua malattia.
Riconoscere la dignità significa, prima di tutto, continuare a vedere la Persona oltre la perdita. Significa accorgersi che, anche quando la memoria si sfilaccia, restano la sensibilità, le emozioni, i legami, la vita. Restano i gesti, le abitudini, i sorrisi che raccontano la storia di chi siamo stati e di chi, in fondo, continuiamo a essere.
In questo percorso, la comunicazione della diagnosi è un momento delicatissimo, ma un diritto della persona. È importante che avvenga con rispetto, trasparenza e ascolto. Comunicare non vuol dire solo “informare”, ma costruire un incontro, costruire una rete di supporto fatta di fili che si intrecceranno lungo il percorso. La persona ha diritto di sapere, ma anche di essere accompagnata a comprendere, con tempi e parole che custodiscano la speranza e la dignità. Insieme a lei, anche la famiglia ha bisogno di essere sostenuta, accolta nelle proprie paure e aiutata a trasformare lo smarrimento in un cammino condiviso.
Perché la demenza non è mai una diagnosi individuale: è una condizione che tocca in primis a una persona ma poi a sua volta ad un’intera rete di relazioni. Ogni famiglia si trova a dover ridefinire i propri equilibri, i propri ruoli, i propri ritmi. L’amore si mescola alla fatica, il prendersi cura convive con la fragilità. E proprio per questo è essenziale sostenere non solo la persona, ma anche chi le sta accanto — offrendo ascolto, empatia, strumenti, e soprattutto riconoscimento.
Chi vive con la demenza mantiene il diritto di partecipare alle scelte che lo riguardano. Anche quando le capacità cognitive si riducono, il suo punto di vista resta prezioso. Un gesto, un’espressione, un’emozione possono diventare linguaggi attraverso cui esprimere preferenze, bisogni, desideri. Accompagnare significa allora saper ascoltare questi linguaggi, interpretare con delicatezza e rispetto, e restituire alla persona un ruolo attivo nel proprio percorso di vita.
Nel contesto del prendersi cura, la dignità si difende ogni giorno: nel modo in cui ci si rivolge alla persona, nei tempi che le si concedono, nella qualità del contatto umano. Anche un piccolo gesto può restituire senso di sé: il tempo per scegliere un abito, per ascoltare una canzone amata, per partecipare a una decisione, per sentire che la propria presenza conta.
La demenza ci insegna che la persona viene prima della malattia. Ci chiede di rallentare, di ascoltare, di cambiare sguardo. Di passare dal “fare per” al “fare con”. E, soprattutto, ci ricorda che la dignità non è qualcosa che si perde insieme alla memoria o alle altre funzioni cognitive: è un diritto inalienabile, che sopravvive nelle relazioni, negli sguardi, nella cura reciproca. E che va tutelato sempre.
(Silvana Marin)
La riserva cognitiva
Qualunque uomo può, se lo desidera, diventare lo scultore del proprio cervello" (Santiago Ramón y Cajal)
Il cervello non è un’entità definita come altri organi del corpo: è un sistema dinamico, in continua evoluzione e soggetto a continui cambiamenti. L’ambiente in cui si vive (inteso come ambiente fisico e relazionale) fornisce stimoli specifici che possono indurre cambiamenti a livello morfologico e chimico delle strutture cerebrali. Il nostro cervello è unico, creato dalle esperienze che gli offriamo e dalle richieste che gli facciamo, ogni giorno. Si dice infatti che il nostro cervello è “plastico”, cioè “plasmabile”. Questa caratteristica straordinaria del nostro cervello si chiama “neuroplasiticità”. Più l’ambiente in cui si vive è ricco di sollecitazioni e più il cervello si arricchisce. Le nuove esperienze determinano una riorganizzazione dei circuiti nervosi con un miglioramento funzionale globale. Grazie alla sua plasticità il cervello può:
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trarre vantaggio dall’esperienza
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apprendere
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ricordare
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rigenerarsi
Stile di vita ed esperienze sono quindi importanti per determinare la forma del cervello, il modo in cui cresce ed evolve. Imparare può dargli forma, proprio come l’allenamento dà forma ai muscoli. L’allenamento del cervello è fondamentale anche per creare e accumulare “scorte”: la cosiddetta “riserva cognitiva”. Essa gioca una funzione conservatrice quando le cellule cerebrali subiscono un deterioramento legato all’età o ad un trauma, permettendo quindi al nostro cervello di essere resiliente.
Usando delle metafore, possiamo dire che:
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La riserva cognitiva è come una grande biblioteca: più libri (esperienze, conoscenze, abilità) aggiungiamo negli anni, più risorse abbiamo a disposizione quando una parte della biblioteca subisce un danno. Se una sezione viene danneggiata (per es. da un trauma o da una malattia neurodegenerativa), ci sono ancora altri scaffali da cui attingere.
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Il cervello è come una città: più strade alternative ci sono, più facilmente si può raggiungere una destinazione anche se una via principale è bloccata. La riserva cognitiva rappresenta le strade secondarie e i percorsi alternativi costruiti nel tempo grazie all’apprendimento, alla lettura, alla socializzazione. Più percorsi mentali abbiamo costruito, più flessibile è il nostro pensiero.
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La riserva cognitiva è come lo zaino di un viaggiatore esperto: più è fornito, più strumenti ha a disposizione per affrontare gli imprevisti del percorso. Le esperienze di vita arricchiscono lo zaino: cultura, relazioni, sfide superate…
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La riserva cognitiva è come una batteria supplementare: quando quella principale si scarica o funziona male, la batteria di riserva mantiene in funzione il sistema. Le persone con maggiore riserva cognitiva mostrano sintomi più tardi anche se hanno un danno cerebrale simile a chi ne ha meno.
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Il cervello con una buona riserva cognitiva è come un castello con mura spesse: anche se viene attaccato, resiste più a lungo. Le mura sono costruite nel tempo con stimoli cognitivi, attività sociali, cultura, problem-solving.
Fattori che accrescono la nostra riserva cognitiva
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Allenare la mente: esercitarsi con sfide nuove e ogni volta diverse. L’allenamento continuo della mente mantiene attivi alcuni percorsi del tessuto nervoso. L’organizzazione di queste risorse permette di affrontare le richieste della vita di tutti i gironi.
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Allenare il corpo: una attività fisica costante produce effetti benefici sulla salute della mente perché migliora il tono dell’umore, riduce i rischi vascolari e migliora le capacità cognitive.
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Nutrirsi correttamente e gestire le dipendenze: un’alimentazione sana contribuisce al corretto funzionamento del corpo. Non abusare di sostanze quali alcol e nicotina.
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Promuovere la rete sociale: la frequenza e la qualità di contatti sociale influenzano le capacità cognitive.
Si tratta di “NUTRIRE IL CERVELLO” attraverso continui e molteplici stimoli: leggere, andare a teatro, viaggiare, frequentare mostre e amici, curare un animale domestico … Insomma: vivere esperienze variegate. Perché la riserva cognitiva si può guadagnare – e spendere - man mano che si vive.
(Silvia Spolti)
Demenza: le parole contano
Una guida all’utilizzo del linguaggio corretto
Come è possibile diventare “amico della demenza”? (…) La risposta è semplice da dare, ma non sempre semplice da mettere in pratica: utilizzare come punto di partenza un linguaggio corretto e rispettoso, che sappia scegliere termini inclusivi e sia specchio di una volontà vera di assumere un comportamento accogliente nei confronti delle persone con demenza (…). Usare un linguaggio adeguato quando si parla di demenza non è solo corretto dal punto di vista linguistico, ma è anche e soprattutto un dovere nei confronti di chi vive quotidianamente con la demenza. Parlare di “persone con demenza” o “persone che convivono con al demenza”, definizioni che mantengono dignità e rispetto, senza giudizio sulla condizione e sulla diagnosi. Diventare “amico della demenza” significa imparare a rispettare l’altro, anche attraverso le parole (Gabriella Salvini Porro).
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Messaggi chiave
Il linguaggio che usiamo per parlare della demenza condiziona la considerazione (o il giudizio) sulle persone con demenza e come di conseguenza esse si sentono e vivono la loro condizione.
Le persone con demenza preferiscono parole e descrizioni accurate, equilibrate, rispettose, inclusive e chiedono di evitare:
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Parole che fanno fisicamente indietreggiare le persone quando le leggono o le sentono
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Parole che fanno pensare che la vita con demenza non valga la pena di essere vissuta e che le persone con demenza siano incapaci e non abbiano più nulla da dare
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Parole che sono riferite negativamente alla persona
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Parole che creano stereotipi
2. Quando si parla di demenza …
Sono da preferire i seguenti termini:
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demenza
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malattia di Alzheimer
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forma di demenza
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tipo di demenza
Sono da evitare: malattia dementigena, demente, demenza senile
Demenza non è “una cosa sola”, ma è una “parola ombrello” che raggruppa sotto di sé diverse condizioni specifiche, incluso l’Alzheimer. Ecco perché è importante utilizzare termini come “forma di demenza” o “tipo di demenza”. Il termine “demenza senile” è invece un termine superato perché si usava quando si pensava che la perdita di memoria o altri problemi cognitivi fossero parte del normale invecchiamento.
3 Quando si parla di una persona con demenza …
Le persone con demenza sono prima di tutto persone e non si deve pensare che una diagnosi di demenza significhi che la loro vita sia finita.
Sono da preferire i seguenti termini:
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persona con demenza
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persona che convive con la demenza
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persona con diagnosi di demenza
L’uso di questi termini mantiene la dignità della persona , sottolinea che si tratta sempre di una persona e non la giudica per la sua condizione.
Sono da evitare: sofferente, vittima, demente, afflitto, paziente (se usato al di fuori del contesto medico), espressioni gergali dispregiative. Puoi consultare la guida completa al corretto uso del linguaggio al link: guida del linguaggio.indd
(Silvia Spolti)
Che cos'è la demenza?
La demenza non è una malattia specifica, ma un termine ombrello che descrive un insieme di sintomi che influiscono gravemente sulla memoria, sul pensiero e sulle abilità sociali, al punto da interferire con la vita quotidiana.
Ecco le principali malattie che causano demenza negli anziani, dalla più comune alla più rara.
1. Malattia di Alzheimer
È la causa più comune di demenza, rappresentando circa il 60-70% dei casi.
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Cos'è: Una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata dall'accumulo di proteine anomale nel cervello: placche amiloidi (all'esterno dei neuroni) e grovigli neurofibrillari (all'interno dei neuroni). Questi accumuli portano alla morte delle cellule nervose e all'atrofia cerebrale.
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Sintomi tipici: Il sintomo iniziale più comune è la difficoltà nel ricordare informazioni appena apprese (perdita di memoria a breve termine). Con il progredire della malattia, compaiono disorientamento, cambiamenti di umore e comportamento, difficoltà nel parlare, nel deglutire e nel camminare.
2. Demenza Vascolare
È la seconda causa più comune di demenza.
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Cos'è: È causata da un ridotto afflusso di sangue al cervello, che priva le cellule cerebrali di ossigeno e nutrienti. Questo avviene tipicamente dopo un ictus o una serie di "ictus silenziosi" (micro-infarti) che passano inosservati ma si accumulano nel tempo.
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Sintomi tipici: I sintomi possono comparire improvvisamente dopo un ictus. Spesso colpiscono in modo particolare la capacità di pianificare, giudicare e organizzare (le cosiddette "funzioni esecutive"), mentre la memoria può essere meno colpita nelle fasi iniziali rispetto all'Alzheimer.
3. Demenza a Corpi di Lewy (DLB)
Rappresenta circa il 5-10% dei casi di demenza.
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Cos'è: È caratterizzata dall'accumulo anormale di aggregati proteici chiamati corpi di Lewy nelle cellule nervose del cervello.
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Sintomi tipici: I sintomi sono simili a quelli dell'Alzheimer, ma spesso includono:
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Allucinazioni visive molto vivide e ricorrenti.
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Sintomi motori simili al Parkinson: rigidità, lentezza nei movimenti e tremore.
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Fluttuazioni cognitive: la lucidità della persona varia notevolmente da un giorno all'altro o anche nell'arco della stessa giornata.
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Disturbi del sonno REM.
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4. Demenza Frontotemporale (FTD)
È meno comune e tende a manifestarsi in persone più giovani (tra i 45 e i 65 anni).
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Cos'è: Un gruppo di malattie caratterizzato dalla degenerazione progressiva dei lobi frontali e temporali del cervello, aree generalmente associate alla personalità, al comportamento e al linguaggio.
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Sintomi tipici: I cambiamenti della personalità e del comportamento sono spesso i primi segni (disinibizione, apatia, perdita di empatia, comportamenti compulsivi). Oppure possono comparire primariamente disturbi del linguaggio (difficoltà a trovare le parole, a parlare o a comprendere il linguaggio). La memoria può rimanere relativamente intatta nelle prime fasi.
5. Altre Cause di Demenza
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Morbo di Parkinson: Molte persone con il Parkinson sviluppano sintomi di demenza nelle fasi avanzate della malattia (demenza nella Malattia di Parkinson), con caratteristiche simili alla Demenza a Corpi di Lewy.
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Demenza Mista: È molto comune, soprattutto nei grandi anziani. Si riferisce alla presenza di più di una causa di demenza, tipicamente Alzheimer e Demenza Vascolare insieme.
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Idrocefalo a Pressione Normale (NPH): Causato da un accumulo di liquido cerebrospinale nel cervello. I sintomi classici sono difficoltà nel camminare (andatura instabile), incontinenza urinaria e demenza. A differenza di altre demenze, a volte può essere trattato con un intervento chirurgico (shunt).
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Malattia di Huntington: Una malattia genetica rara che causa la progressiva degenerazione delle cellule nervose nel cervello, portando a disturbi del movimento, cognitivi e psichiatrici.
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Malattia di Creutzfeldt-Jakob: Una rara e rapidamente progressiva malattia da prioni (proteine infette).
Condizioni Reversibili che Mimano la Demenza (Pseudodemenza)
È fondamentale ricordare che alcuni problemi di salute possono causare sintomi simili alla demenza ma sono reversibili se trattati. Ecco perché una valutazione medica completa è essenziale.
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Depressione: Può causare grave confusione e problemi di memoria.
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Deficit vitaminici e nutrizionali (es. carenza di Vitamina B12).
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Infezioni (es. infezioni del tratto urinario, polmonite).
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Reazioni avverse ai farmaci o interazioni tra farmaci.
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Problemi alla tiroide (ipotiroidismo).
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Tumori cerebrali o ematomi subdurali.
Importante: Se si sospetta un principio di demenza in una persona anziana, è fondamentale consultare un medico specialista (neurologo o geriatra) per una diagnosi accurata. Una diagnosi precoce permette di gestire al meglio i sintomi, pianificare il futuro e, in alcuni casi, trattare cause reversibili o condizioni concomitanti.
La prevenzione delle demenze e il valore delle relazioni
Spesso pensiamo all’invecchiamento come a qualcosa da temere. Rughe, acciacchi, perdita di energie. Eppure, invecchiare non è una condanna, ma può essere un’opportunità: quella di dare senso e valore alle esperienze accumulate, di raccogliere ciò che la vita ci ha insegnato e metterlo a frutto.
Quando parliamo di prevenzione delle demenze, non parliamo solo di medicina o genetica. Parliamo di stili di vita, di scelte quotidiane che possiamo compiere fin da giovani oppure scegliere di iniziarle anche in qualsiasi momento: non è mai tardi per fare prevenzione! Alimentazione equilibrata, attività fisica, allenamento della mente: sono tutti strumenti preziosi, ma non sufficienti se dimentichiamo un aspetto fondamentale… le relazioni.
Uno dei principali fattori di rischio, oggi sempre più evidente, è la solitudine. L’essere umano non è fatto per vivere isolato: come scriveva il poeta John Donne, “nessun uomo è un’isola”. La mente ha bisogno di nutrimento, e il legame con gli altri è uno dei più potenti.
Coltivare amicizie, mantenere viva la curiosità, dedicarsi a passioni nuove o ritrovate, aprirsi a esperienze diverse: tutto questo non è solo “piacevole”, ma rappresenta un vero e proprio investimento per il nostro benessere attuale e futuro.
Invecchiare in modo positivo significa proprio questo: restare connessi, attivi, curiosi. Significa trasformare l’età che avanza in un’occasione per continuare a crescere.
La prevenzione delle demenze non si costruisce solo con farmaci o controlli, ma soprattutto con la capacità di tessere relazioni, coltivare interessi e restare parte di una comunità viva.
Perché prendersi cura di sé, anche nei piccoli gesti quotidiani, è il primo passo per prendersi cura del nostro futuro.
Prevenire le demenze con relazioni, curiosità e buone abitudini
Quando parliamo di prevenzione delle demenze, parliamo soprattutto di stili di vita: piccole scelte quotidiane che, giorno dopo giorno, costruiscono il nostro benessere futuro.
Alcuni consigli pratici:
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Fai attività fisica quotidiana: anche una camminata di 15-30 minuti al giorno stimola la circolazione, ossigena il cervello e migliora l’umore.
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Allena la mente: leggi, fai parole crociate, impara una nuova lingua o uno strumento, cambia rotta nell’andare al lavoro o a casa, usa la mano non dominante per lavarti i denti. Ogni novità è un “fertilizzante” per il tuo cervello.
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Nutri il cervello: prediligi frutta, verdura, cereali integrali, pesce e olio d’oliva. La dieta mediterranea è un alleato prezioso.
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Coltiva relazioni: mantieni i contatti con amici, partecipa ad attività di gruppo, fai volontariato. Anche una semplice chiacchierata può avere un grande impatto.
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Sii curioso: iscriviti a un corso, scopri un hobby nuovo, viaggia (anche solo nella tua città). La curiosità mantiene giovane la mente.
Riassumendo:
✔ Cammina almeno mezz’ora al giorno: basta magari parcheggiare la macchina un po' più lontano dal posto di lavoro o dal supermercato, fare le scale invece di prendere l’ascensore… ci vuole poco per fare un po' di attività motoria!
✔ Mangia più frutta, verdura e pesce che cibi confezionati: mangiare sano fa bene alla salute e al portafoglio!
✔ Dedica almeno 15 minuti a un’attività che stimoli la mente: non è necessario fare grandi investimenti, prova a fare cose nuove e diverse.
✔ Chiama o incontra una persona cara
✔ Fai oggi qualcosa che non hai mai fatto prima, ad esempio se sei destrimane utilizza la mano sinistra per pettinarti…
Oltre la memoria
“La memoria è il diario che ciascuno porta con sé" (Oscar Wilde)
La demenza non è una malattia unica, ma un insieme di sintomi che possono avere diverse cause: malattie come l’Alzheimer, la demenza frontotemporale, quella a corpi di Lewy o quella vascolare sono alcuni esempi. Tutte hanno in comune la progressiva perdita di alcune capacità cognitive importanti, come la memoria, il linguaggio, l’orientamento e l’autonomia nella vita di ogni giorno.
Come ricorda il Prof. Marco Trabucchi: «La demenza è una malattia del nostro tempo, colpisce prevalentemente gli anziani ma non solo loro. I disturbi sono molteplici: perdita di memoria, deterioramento delle funzioni cognitive ‒ dal linguaggio alla capacità di prendere decisioni ‒ variazioni di umore, comportamenti anomali…».
È un cammino che, con il tempo, porta a grandi cambiamenti e mette a dura prova non solo chi ne è colpito, ma anche la sua famiglia. Parlare di demenza significa perciò parlare di Persone, di relazioni e di emozioni, oltre che di medicina.
Eppure, anche davanti a questa diagnosi, ci sono gesti e attenzioni che fanno la differenza:
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Creare spazi sicuri e rassicuranti, che riducano il senso di confusione e di paura.
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Continuare a comunicare e a relazionarsi, anche con uno sguardo, un sorriso o una carezza, quando le parole non servono più.
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Sostenere chi si prende cura, offrendo ascolto, strumenti e reti di aiuto, perché nessuno si senta solo.
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Valorizzare ciò che resta, invece di fermarsi solo su ciò che viene perso, accompagnando la persona e la sua famiglia a vivere ogni giorno con dignità.
La demenza non cancella la possibilità di amare ed essere amati. Anche quando la memoria si affievolisce, rimane la forza dei legami autentici, del rispetto e della cura. È lì che si ritrova la dignità, fino alla fine del percorso.
“Non sono le cose che possediamo a darci identità, ma gli affetti che sappiamo custodire.” (Paulo Coelho)
Quando il pensiero vacilla, conoscere è prendersi cura
“La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere.” (Plutarco)
Le funzioni cognitive: cosa sono e perché contano
Le funzioni cognitive sono quelle capacità mentali che ci permettono di percepire il mondo esterno (attraverso i sensi), elaborare le informazioni (attenzione, memoria, ragionamento, pianificazione), comunicare (linguaggio, comprensione ed espressione), orientarci, riconoscere volti, oggetti e contesti, decidere e organizzare azioni quotidiane.
Sono il filo invisibile che collega chi siamo — i nostri ricordi, ciò che sappiamo, la nostra capacità di acquisire nuove conoscenze — con ciò che facciamo ogni giorno: parlare, vestirci, cucinare, muoverci, imparare, osservare, decidere per noi stessi.
Quando funzionano bene, danno un senso di continuità, autonomia, dignità: proteggono la persona dall’essere “solo spettatore” della propria vita.
Riconoscere i segnali precoci - quando le funzioni cognitive cominciano a vacillare
Non tutte le demenze iniziano allo stesso modo, né con gli stessi sintomi. Riconoscere i segni iniziali può fare una grande differenza nella diagnosi precoce – e quindi nella possibilità di intervenire per ritardare il declino e migliorare la qualità di vita.
Alcuni segnali possono essere:
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difficoltà a ricordare eventi recenti (non semplicemente un nome o un appuntamento, ma ripetute imprecisioni)
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rallentamento nel comprendere conversazioni o istruzioni
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problemi a trovare le parole giuste quando si parla
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difficoltà nel gestire compiti abituali che richiedono più passaggi (organizzazione, pianificazione)
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cambiamenti nel giudizio, nella capacità di prendere decisioni, nella valutazione delle situazioni
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perdita di orientamento in luoghi familiari, confusione crescente.
Spesso questi segnali vengono attribuiti all’età o allo stress, ma quando si manifestano con frequenza o intensità crescente, è importante non sottovalutarli.
Diversi esperti si sono espressi riguardo a questi temi. Il professor Antonio Guaita (geriatra, direttore della Fondazione Golgi Cenci (https://www.golgicenci.it) sottolinea che la “riserva cognitiva” è un concetto chiave: non tutte le persone con gli stessi cambiamenti biologici nel cervello sviluppano demenza allo stesso modo.
La storia personale, l’istruzione, l’impegno intellettuale, lo stile di vita e le relazioni hanno un ruolo protettivo. Il professor Marco Trabucchi (professore di Neuropsicofarmacologia, presidente della Associazione Italiana di Psicogeriatria (www.psicogeriatria.it), sostiene che intervenire presto, anche con strategie non farmacologiche (stimolazione cognitiva, attività sociale, gestione dei fattori di rischio come solitudine, malattie cardiovascolari, stile di vita), può rallentare il declino delle funzioni cognitive.
Nel suo libro “Vecchiaia e salute cognitiva. Un impegno umano, clinico e sociale” (Edizioni Il Mulino) si parla proprio dell’“invecchiamento in salute” come un progetto che deve essere condotto nel rispetto della complessità della vita umana, la cui evoluzione è un fenomeno caratterizzato dall’interazione tra aspetti biologici, clinici, psicologici, sociali, organizzativi.
La diagnosi precoce e l’intervento tempestivo sono fondamentali: sapere cosa cercare permette di rivolgersi al medico non appena compaiono segnali sospetti, aumentano le possibilità di rallentamento del decorso o, almeno, di corretta pianificazione del supporto.
Riconoscere presto ciò che cambia consente di mettere in atto strategie compensative, adattamenti ambientali, aiuti concreti che mantengano la dignità e la partecipazione della persona alla rete sociale di appartenenza. La conoscenza delle malattie e delle sue prime manifestazioni permette al paziente e alla sua famiglia di pianificare e condividere le decisioni relative alla cura, all’assistenza, all’ambiente, evitando reazioni di panico o scelte affrettate.
Infine, permette di supportare le famiglie e chi si prende cura delle persone ad imparare a gestire al meglio il percorso e ridurre il senso di colpa attivando risorse di sostegno adeguate.
Azioni concrete per preservare le funzioni cognitive
In seguito, ti suggeriamo alcune attività che permettono di “allenare” le funzioni cognitive, ricordando che in caso di dubbi è sempre importante chiedere il parere di un professionista.
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Mantieni attivo il cervello attraverso stimolazione cognitiva regolare (giochi mentali, lettura, attività culturali).
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Le relazioni sociali sono fondamentali per il benessere cognitivo: coltiva e mantieni relazioni sociali, la partecipazione alla vita della tua comunità e ad altre attività che permettano la socializzazione.
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Il nostro cervello ha bisogno anche di esercizio fisico: l’attività motoria regolare migliora il flusso sanguigno, l’ossigenazione e quindi la plasticità cerebrale. Per l’attività fisica è sempre meglio rivolgersi a un professionista se hai problemi di salute.
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Sono stati identificati a livello internazionale dei fattori di rischio modificabili per prevenire o ridurre il rischio di comparsa di decadimento cognitivo. Risulta utile controllare i fattori di rischio cardiovascolari: ipertensione, diabete mellito, dislipidemie, obesità, tabagismo.
Quali sono i campanelli d'allarme?
Riconoscere i primi segnali della demenza è cruciale per una diagnosi precoce e una gestione appropriata. È importante sottolineare che avere uno di questi segni occasionalmente non significa avere una demenza, ma se questi sintomi sono progressivi, peggiorano nel tempo e interferiscono significativamente con la vita quotidiana, è essenziale consultare un medico.
Ecco i 5 principali segnali d'allarme:
1. Perdita di memoria che Interferisce con la vita Quotidiana
Non si tratta del normale dimenticare dove si sono lasciate le chiavi, ma di una dimenticanza frequente e disruptiva, soprattutto per le informazioni appena apprese.
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Esempi concreti: Dimenticare appuntamenti importanti o eventi familiari, chiedere ripetutamente le stesse informazioni (la stessa domanda più volte in pochi minuti), fare sempre più affidamento su promemoria scritti o familiari per cose che prima si gestivano autonomamente. La memoria a lungo termine per eventi passati può inizialmente rimanere intatta.
2. Difficoltà nella pianificazione e nella soluzione di problemi
Si manifesta come un cambiamento nella capacità di sviluppare e seguire un piano o di lavorare con i numeri.
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Esempi concreti: Difficoltà nel seguire una ricetta che si è sempre preparata, problemi nel gestire le bollette mensili e il conto in banca (confusione con i numeri, scadenze), incapacità di concentrarsi su compiti complessi, difficoltà nell'organizzare una lista della spesa o un viaggio.
3. Problemi nello svolgere compiti consueti a casa, al lavoro o nel tempo libero
La persona può iniziare a trovare difficile portare a termine attività familiari che ha svolto per tutta la vita.
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Esempi concreti: Non ricordare le regole di un gioco preferito (come la briscola o gli scacchi), avere problemi a guidare fino a un luogo noto, gestire il budget familiare, dimenticare come usare un elettrodomestico che si è sempre utilizzato (ad esempio, il forno a microonde o la televisione).
4. Disorientamento spaziale e temporale
Perdere il senso del tempo, delle date, delle stagioni e dello spazio.
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Esempi concreti: Confondere i giorni della settimana o il passare delle stagioni, dimenticarsi di che anno sia, perdersi in un quartiere familiare o non ricordare come si è arrivati in un certo luogo. A volte, la persona può entrare in una stanza e dimenticare il motivo per cui ci è entrata.
5. Cambiamenti di umore e personalità
L'umore e la personalità possono cambiare, specialmente in situazioni che escono dalla routine. La persona può diventare confusa, sospettosa, depressa, ansiosa o facilmente irritabile.
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Esempi concreti: Diventare apatici o ritirarsi socialmente, mostrare irritabilità o aggressività quando viene frustrata dalla propria incapacità di ricordare o di completare un compito, sviluppare sospetti insoliti (ad esempio, accusare gli altri di aver rubato oggetti che invece sono stati solo spostati).
Altri segnali Importanti da considerare:
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Difficoltà con le Parole: Problemi nel seguire o partecipare a una conversazione (fermarsi nel mezzo di un discorso senza sapere come continuare, ripetere molto, avere difficoltà a trovare la parola giusta).
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Posizionare Oggetti in Luoghi Insoliti: Mettere le cose in posti illogici (es. le chiavi nel frigorifero) e non essere in grado di ritrovarle.
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Diminuzione o Scarso Giudizio: Mostrare un calo nella capacità di giudizio (es. non riconoscere una truffa telefonica, trascurare l'igiene personale o la pulizia della casa).
Nota fondamentale: Molte di queste condizioni, come lo stress, la depressione, alcune carenze vitaminiche o gli effetti collaterali di farmaci, possono causare sintomi simili (pseudodemenza). Per questo, solo un medico specialista (come un neurologo o un geriatra) può fare una diagnosi accurata attraverso una valutazione completa. Se notate questi segni in una persona cara, il primo passo è parlarne con il medico di base.
Come stai invecchiando?
Puoi farti alcune domande semplici per capire se stai andando nella direzione giusta:
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Ogni giorno trovo almeno un momento per muovermi?
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Mi sento parte di una rete sociale (famiglia, amici, comunità)?
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Riesco a dedicarmi ad attività che stimolano la mente?
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Ho passioni o interessi che mi fanno sentire vivo e curioso?
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Ho qualcuno con cui parlare quando ho bisogno?
Se prevalgono i “sì”, sei sulla buona strada. Se invece noti più “no”, può essere il momento giusto per cambiare qualche abitudine, contattaci per avere più informazioni.
La prevenzione delle demenze inizia molto prima della vecchiaia. Non servono gesti eroici, ma costanza e attenzione ai dettagli della vita quotidiana. Perché la salute del nostro cervello si costruisce giorno dopo giorno, insieme agli altri.
Imparare a prendersi cura: la formazione che nasce dall’esperienza
Prendersi cura delle persone fragili, e in particolare di chi vive con la demenza, è un gesto che va
oltre la tecnica. È un incontro tra fragilità, sensibilità e professionalità. Per questo la formazione di
chi lavora ogni giorno accanto a queste persone non può limitarsi alla teoria: deve diventare esperienza vissuta, condivisione, scoperta.
I percorsi formativi che mettono al centro l’esperienza – i laboratori, le simulazioni, il confronto tra
operatori – permettono di “sentire” davvero cosa significa trovarsi nei panni dell’altro. È in quel
momento che la conoscenza si trasforma in consapevolezza, e la consapevolezza diventa cura
autentica.
Come scriveva Carl Rogers, “solo quando riesco a comprendere l’altro così come lui si sente, senza
giudicarlo, posso davvero aiutarlo a cambiare.”
Investire nella formazione del personale non è solo un dovere etico o un adempimento
organizzativo: è un vero investimento di valore. Un’équipe formata è più capace di affrontare le
sollecitazioni del quotidiano, di gestire le situazioni complesse con equilibrio e di prevenire il
distress lavorativo.
La competenza relazionale e la consapevolezza emotiva diventano così strumenti di benessere non
solo per gli anziani, ma anche per chi se ne prende cura. E la formazione non riguarda soltanto i professionisti: anche i caregiver familiari hanno bisogno di spazi per comprendere, condividere e ritrovare risorse interiori.
Imparare a prendersi cura, insieme, significa costruire una comunità più accogliente, capace di
riconoscere nella fragilità non un limite, ma un’occasione per crescere come persone.
““Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”– Antoine de Saint-Exupéry
A cosa serve la stimolazione cognitiva?

La stimolazione cognitiva negli anziani affetti da demenza rappresenta un intervento non farmacologico essenziale. I suoi obiettivi vanno ben oltre il semplice mantenere la mente
attiva: si tratta di un approccio mirato e strutturato, con benefici che si estendono a diverse aspetti della vita. Ecco una panoramica delle sue principali finalità, suddivise per ambiti di
intervento:
1. Mantenere le funzioni cognitive residue e rallentare il declino
L'obiettivo principale non è "guarire" la demenza (essendo una condizione neurodegenerativa progressiva), ma sfruttare la neuroplasticità del cervello per rafforzare le connessioni neurali ancora funzionanti.
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Memoria: Esercizi mirati aiutano a rinforzare la memoria a breve termine e quella procedurale (come fare qualcosa).
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Attenzione e Concentrazione: Le attività strutturate richiedono di focalizzare l'attenzione per un periodo di tempo, un'abilità che tende a deteriorarsi.
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Funzioni Esecutive: Problem-solving semplici, categorizzazioni e sequenze logiche stimolano aree del cervello responsabili della pianificazione e del ragionamento.
2. Migliorare il benessere psicologico e l'umore
La demenza spesso porta a frustrazione, ansia, apatia e depressione. La stimolazione cognitiva agisce direttamente su questi aspetti:
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Aumentare l'autostima: Riuscire a portare a termine un compito, anche semplice, dona un senso di competenza e successo.
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Ridurre l'apatia: Mantenere la persona impegnata e interessata combatte la passività e l'isolamento.
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Gestire l'ansia: Una routine che include attività piacevoli e prevedibili può creare un senso di sicurezza e tranquillità.
3. Promuovere la socializzazione e le relazioni
La stimolazione cognitiva è spesso fatta in gruppo (ad es. con la Terapia di Stimolazione Cognitiva - CST), il che è cruciale:
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Combatte la solitudine: Fornisce un contesto strutturato per interagire con altre persone, condividere esperienze e ridurre l'isolamento sociale.
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Migliora le capacità comunicative: Incoraggia la conversazione, l'ascolto e l'espressione di sé, anche attraverso canali non verbali come la musica o l'arte.
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Rafforza il legame con il caregiver: Quando fatta in famiglia, diventa un momento di qualità condiviso, focalizzato sull'interazione positiva piuttosto che sulla gestione dei problemi.
4. Mantenere l'orientamento e il contatto con la realtà
Attività che richiamano alla memoria eventi passati (Reminiscenza) o che discutono di avvenimenti correnti aiutano la persona a:
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Preservare il senso di identità: Parlare della propria vita, del proprio lavoro e delle proprie esperienze aiuta a mantenere un filo conduttore con chi si è stati e chi si è.
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Migliorare l'orientamento: Discussioni sul giorno della settimana, la stagione, o notizie semplici aiutano a ancorare la persona nel tempo e nel presente.
5. Migliorare la qualità della vita in modo globale
Tutti i benefici sopra elencati convergono in un unico obiettivo finale: migliorare la qualità della vita della persona con demenza e di chi se ne prende cura. Una persona più stimolata, serena e socialmente attiva avrà meno comportamenti problematici (come agitazione o vagabondaggio) e vivrà meglio nonostante la malattia.
In pratica, cosa si fa?
La stimolazione cognitiva può includere:
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Esercizi specifici: Cruciverba semplici, puzzle, giochi di memoria, riconoscimento di oggetti.
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Attività di reminiscenza: Utilizzo di foto, musiche, oggetti d'epoca per evocare ricordi.
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Attività artistiche e creative: Musicoterapia, pittura, giardinaggio.
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Attività della vita quotidiana: Cucinare insieme, apparecchiare la tavola, riordinare, che forniscono stimoli cognitivi e sensoriali.
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Esercizio fisico adattato: Anche una semplice passeggiata è uno stimolo cognitivo (orientarsi, prestare attenzione all'ambiente).
Importante:
La stimolazione deve essere sempre tarata sulle capacità residue della persona. Deve essere un'attività piacevole, non una fonte di frustrazione. Il successo non è dato dalla correttezza della risposta, ma dal processo di coinvolgimento e dal benessere che si genera.
In sintesi, la stimolazione cognitiva serve a valorizzare la persona oltre la malattia, supportando le sue abilità, le sue emozioni e le sue relazioni per vivere una vita più piena e dignitosa possibile.




